Verrà il giorno dopo

Verrà il giorno dopo, non possiamo segnarlo sul calendario, ma come abbiamo segnato il primo giorno di questa lunga notte, di questo giorno sospeso e che ci ha sospesi, il giorno verrà. Che cosa accadrà? Ci sarà un domani, un giorno in cui potremmo nuovamente abbracciare le persone, fare ressa in uno stadio, dare una carezza ad un ammalato, vedere il volto di qualcuno senza la mediazione di uno schermo o una mascherina. Nessuno sa quando, ma tutti sappiamo che quel giorno verrà.

La questione è se ci scioglieremo davvero in quell’abbraccio, se sorgerà spontanea la carezza, se avvicineremo le labbra alla pelle di qualcuno senza fermarci quella frazione di secondo che annulla tutto il senso ed il significato di quei gesti. Abbiamo avuto paura e ne abbiamo tuttora, tutti. Paura concreta e reale che sta diventando abitudine ed attitudine a stare lontani, a guardarci con sospetto. L’altro è Caino, lo voglia o no, lo sia o no.

Portiamo dentro questa ferita, non sappiamo per quanto, tempo o generazioni, ma ci sarà. Questo avrà un impatto violento su tutto, ma soprattutto sulla nostra umanità, sul nostro essere persone. Siamo nati da prossimità, abbiamo imparato a parlare e riconoscere il mondo attraverso la prossimità. Le nostre ferite e le nostre malattie hanno avuto un volto al nostro capezzale e da quello abbiamo imparato la compassione e l’empatia. Almeno molti di noi, fortunatamente la maggior parte di noi.

COVID 19 che cosa lascerà di tutto questo? Riempiremo biblioteche intere di studi di ogni fatta, ma non abbiamo tempo di aspettare quelle pagine, perché il giorno dopo, per quanto ci sembri ora lontano, è già quasi adesso. L’emergenza ci ha fatto rompere il vetro, ma con quei cocci ci stiamo tagliando giorno dopo giorno, ora dopo ora. La pandemia ci ha costretti a disintermediare ogni nostra relazione e la tecnologia digitale ci ha permesso di farlo con prontezza ed efficacia. Ciò ha determinato in poche settimane una rivoluzione per sostituzione totalmente pervasiva di tutti gli aspetti del nostro vivere e dunque anche del nostro essere, in profondità. Il blocco cognitivo derivante dalla paura e dalla assoluta novità di quanto accadeva ha svegliato in noi una reazione disordinata per tentare di porre rimedio al presente. Abbiamo fatto cose senza una progettualità, spesso casuali, qualche volta controproducenti, il più delle volte cercando solo di fare in modo diverso quello che abbiamo sempre fatto e conoscevamo. Tutto questo lo abbiamo fatto con uno strumento che non lascia mai nulla invariato, uno strumento che smaterializza il materiale, che copia e incolla, che trasferisce, affascina, modifica ed è eccezionalmente adattivo e molto spesso irreversibile, proprio come il virus che abbiamo combattuto: il digitale.

Quello che sino a ieri era la norma, domani potrà essere un campo minato: un colpo di tosse per cui non ci saremmo girati ci farà rabbrividire, un rossore sulle guance di chi amiamo e che ieri ci inteneriva, domani ci preoccuperà? Abbiamo vissuto con volti coperti e schermati, saremo in grado di tornare a scoprire il nostro respiro e il coraggio di abbracciarci e stringerci gli uni gli altri?

Domande a cui non possiamo rispondere oggi, ma che dobbiamo preparare per rispondere domani. Anzi, dobbiamo in ogni modo raccogliere con pazienza i vetri che abbiamo rotto nell’emergenza, per ricomporre qualcosa e comporre altro che sia compatibile con una vita che torni umana e che sia autentica, non solo digitale o condannata ad esserlo. Abbiamo bisogno di un codice e questo codice lo abbiamo, da sempre e che da sempre è stato capace di attraversare pandemie, tragedie, storie e continenti: il cristianesimo, il Vangelo, la narrazione delle narrazioni, il codice fontale dell’umanità. Per un credente il codice che dischiude, a chi lo voglia, la strada per una relazione effettiva con Dio stesso e, per un non credente, una riserva antropologica forte, resistente, resiliente, generativa e rigenerativa come nessun’altra in tempo di piaghe e ferite.

Verrà il giorno dopo: seminiamo speranza ed umanità in modo che ci colga meno impreparati e, soprattutto, ancora capaci di essere umani.

Ivan ANDREIS

don Luca PEYRON

Il pezzo è stato di tuo interesse? Abbonati gratuitamente alla pagina settimanale cliccando qui

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *