Sette minori su dieci a rischio «hacker »

Sette minori su dieci sono a rischio hacker per troppa fiducia nelle proprie competenze informatiche.

Lo svela l’ultima ricerca di Kaspersky, azienda internazionale di cybersecurity. L’analisi è stata eseguita su più di 6 mila minori in otto paesi europei e ha sondato le conoscenze in materia di sicurezza degli intervistati, domandando se sapessero identificare un tentativo di phishing, quante informazioni condividessero online e a chi si affidassero per identificare potenziali minacce.

Il 72% non è a conoscenza delle comuni pratiche di phishing e non sa distinguere una email fasulla da una legittima. I dati indicano che circa 2 giovani su 5 (39%) pensano di essere correttamente informati sulla sicurezza online anche se si sono poi rivelati vittime di tentavi di truffa. Il dato è preoccupante, specialmente considerando che gli esponenti della cosiddetta GenZ, i nati tra il 1997 e il 2012, non ricevono dagli adulti di riferimento l’aiuto necessario per fronteggiare le minacce digitali: il 58% ha infatti ammesso di non poter aiutare i propri figli a riconoscere le truffe.

«Le generazioni più anziane, che sono spesso viste come più suscettibili alle frodi online, non sono in grado di insegnare alle generazioni più giovani come i pericoli del mondo reale sembrano svolgersi altrettanto online. Forse perché in effetti alcuni (28%) sanno poco di sicurezza online e digitale. Il know-how tecnologico dei giovani, unito alla consapevolezza dei pericoli del mondo reale delle generazioni più anziane potrebbe creare la perfetta combinazione di sicurezza», spiegano i ricercatori.

Nonostante molti under 18 si ritengano quasi esperti, la ricerca di Kaspersky rivela che oltre la metà (55%) ammette ancora di inserire informazioni personali sui social media. David Emm, Principal Security Researcher Global Research and Analysis Team di Kaspersky, spiega che «Questa ingenuità si scontra con il presunto livello di conoscenza informatica: giochi e quiz online sono spesso utilizzati dai criminali come strumenti per raccogliere quante più informazioni possibili sugli utenti».

Jasmine MILONE

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