Intelligenza Artificiale, “computer science” e non più filosofia…

Ormai è finita! Leggendo le ultime riflessioni del professor Luciano Floridi sull’Intelligenza Artificiale è difficile non rassegnarsi al fatto che ormai per Intelligenza Artificiale capiremo e intenderemo nulla più che le tradizionali attività di Computer Science (o informatica), certo molto più potenti e funzionali ma qualitativamente analoghe a quanto visto finora.

La visione di Floridi, estremamente lucida e spassionata, non sembra lasciare via di scampo. «All’Intelligenza Artificiale non serve l’intelligenza», ci dice il professore, e anzi essa meglio funzionerà quanto più abbandoniamo la pretesa o l’illusione di trovarvi la comprensione o l’intelligere. L’IA è intelligenza «riproduttiva», non «cognitiva», ciò che conta è il risultato operativo (l’azione), e non la macchina con il suo software hardware ecc. In questo modo si cristallizza la visione ingegneristica che fin dal tempo di Turing ha trasformato la domanda «può una macchina pensare?» in quella, ben più modesta «può il pensiero essere meccanizzato?».

Questa conclusione riflette indubbiamente il sentire di larga parte dell’industria informatica, degli esperti che ci lavorano, e probabilmente degli interessi economici diretti ed indiretti che muovono questa industria. In un certo senso si tratta di una conclusione obbligata, l’ipostatizzazione «ideologica» di quanto sta succedendo nel mondo reale. E considerando i benefici che la Computer Science ha globalmente comportato dai suoi inizi ad oggi non si può certo dire che a livello materiale si tratti di una cosa negativa. Ovviamente ci saranno situazioni difficili, sconvolgimenti economici, ridefinizioni di ruoli e saperi, ma tutto questo fa parte del corso della storia dell’uomo da quando la nostra avventura sulla Terra è iniziata.

Eppure un dubbio rimane. Non sulle possibilità che questo tipo di IA ci annuncia né sulla correttezza dell’analisi, ma piuttosto su quello che stiamo abbandonando. «Dalla facilità con cui lo spirito si contenta, si può misurare la grandezza di ciò che ha perduto», dice Hegel. Dalla facilità con cui accettiamo la conclusione di Floridi possiamo dunque misurare quanto abbiamo perso, non a livello meramente economico ma certamente a livello spirituale. Vediamo perché.

Innanzitutto una constatazione. Se l’IA «non concerne la capacità di riprodurre il pensiero umano ma la capacità di farne a meno», come dice il professor Floridi, sicuramente abbiamo perso l’intenzione stessa dei fondatori di questa disciplina, Alan Turing in primis e poi quelli che si riunirono nell’ormai celebre conferenza di Dartmouth dove il termine fu coniato. La definizione contemporanea dice infatti l’esatto contrario di quanto fu definito allora. Ma non è il «tradimento» dei padri fondatori che interessa qui, e neanche il fatto che con questa definizione l’IA rinuncia perfino al ruolo di «ancella» delle Scienze Cognitive.

Il problema vero è che in questo modo torniamo al «business as usual», l’Intelligenza Artificiale torna nell’alveo della Computer Science e noi torniamo ad affidare questa disciplina tecnologica ai tecnici e agli ingegneri. Invece di concepire l’Intelligenza Artificiale come «continuazione della Filosofia con altri mezzi» la riduciamo ad una serie di tecniche che ci dovrebbero – speriamo – migliorare la vita.

Tutto legittimo, e anche utile ovviamente, ma l’Intelligenza Artificiale in quanto riflessione dell’intelligenza su se stessa potrebbe essere, e in realtà è, molto di più. Occorre tempo, raccoglimento, domanda interiore per descriverlo, e posso solo rimandare ad altre mie pubblicazioni e al mio libro per chi fosse interessato. Possiamo però concludere notando che nella definizione che ne dà il prof. Floridi l’IA diventa semplicemente una variante applicata della teoria dei giochi: «ludicizzare i problemi e avvolgere l’IA in ambienti adatti al suo funzionamento sono le strade più promettenti». Se questo è il futuro dell’IA certamente non serve tirare in ballo parole pesanti come «etica» o «filosofia» per delineare il quadro teorico nel quale deve muoversi questa disciplina che ci si ostina a chiamare «Intelligenza Artificiale».

Giovanni LANDI

Autore del libro «Intelligenza Artificiale come Filosofia»

Expert dell’Istituto Europia

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