Reti neuronali, un modello per la diagnosi dei melanomi

Notare variazioni nella composizione dei propri nei fa subito allarmare ma per chi ne ha molti e diffusi in tutto il corpo spesso risulta difficile individuare le cosiddette lesioni pigmentate sospette. Il melanoma è il più diffuso cancro della pelle, riscontrato in più del 70% dei pazienti, e la sua incidenza è in forte aumento negli ultimi anni, con una crescita dei casi che procede ad un ritmo superiore rispetto a qualsiasi altro tumore.

Una valutazione visiva attenta e costante può essere di grande aiuto nella diagnosi precoce e può permettere l’identificazione di neoplasie maligne già dai primi stadi, ma sebbene vi siano alcune accortezze per la rilevazione dei nei sospetti, come la nota «regola dell’ABCDE» – Asimmetria, Bordi, Colore, Dimensioni, Evoluzione – questi criteri non sono sempre applicabili e non risultano sufficienti a determinare con certezza se si tratti o meno di una lesione maligna. È quindi indispensabile integrare questi dati con l’ausilio della dermatoscopia, che è in grado di visualizzare le caratteristiche morfologiche della cute in maniera più dettagliata.

Nonostante il grande supporto offerto da questo esame, la diagnosi di melanoma risente ancora di tempistiche dilatate. L’esaminazione di ogni singolo neo può richiedere diverso tempo, così come potrebbe risultare necessario un eccedente numero di biopsie in caso di sospetta diagnosi di melanoma e naturalmente è da considerare il possibile errore di valutazione medico. È questo il presupposto che ha portato un gruppo di ricercatori del Mit a sviluppare un modello automatico di rilevamento delle lesioni sospette basato sull’impiego di Reti Neuronali Convoluzionali Profonde (Dcnn).

I risultati forniti dal sistema sono stati sottoposti all’analisi visiva di dermatologi esperti, i quali nell’87% dei casi hanno confermato i risultati diagnostici forniti dal sistema, dimostrando che possiede una sensibilità che supera il 90%. L’enorme precisione dimostrata dalle Dcnn potrebbe, con grande probabilità, essere sfruttata in futuro nell’applicazione di screening dermatologici, anche su larga scala. Ciò consentirebbe un enorme risparmio, non solo in termini di tempistiche cliniche, ma anche di costi dell’imaging di singole lesioni.

Jasmine Milone

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