«Revenge porn» fenomeno in crescita

Da alcuni anni nei social network il fenomeno del “revenge porn” ha assunto dimensioni consistenti e preoccupanti. Le statistiche ufficiali pubblicate nel sito del Ministero dell’Interno (al momento aggiornate al 27 novembre del 2021), registrano anche in Italia un incremento rilevante (+ 45%) dei casi di diffusione illecita di immagini o video con contenuti sessualmente espliciti.

La denominazione di queste condotte come revenge porn” (letteralmente significa “vendetta pornografica”) è conseguenza di talune stime (si veda lo studio del 2019, pubblicato da Cyber Civil Rights Initiative, citato dall’ Eurispes Osservatorio Cyber Security) secondo le quali la maggior parte delle vittime (circa il 70%), ha subìto la condotta del partner (31,15%) o di un precedente partner (39,75%) che non accetta la fine della precedente relazione con la vittima e utilizza le immagini o i video con contenuto sessuale di cui è in possesso per “vendicarsi” o per costringere il partner a riprendere la relazione interrotta.

Ma gli scopi perseguiti possono essere anche altri: ricattare qualcuno per estorcere denaro, denigrare, molestare o bullizzare la vittima, compiere meri atti di voyeurismo. Recentemente, la cronaca ha riportato alcuni casi che hanno visto coinvolti alcuni manager e imprenditori che sono rimasti vittima di tali reati messi in atto a scopo di estorsione. La traduzione più efficace di revenge porn.

Per questo alcuni ritengono che l’uso del termine “vendetta” non sia appropriato, sia perché talvolta il movente è quello del ricatto per estorcere denaro, sia perché tale termine colpevolizza ingiustamente le vittime che, in realtà, non hanno proprio alcuna colpa.

Certamente risulta più corretto e pertinente chiamare tale fenomeno con altre locuzioni quali condivisione non consensuale di materiale intimo (Non-Consensual Initimate Images) o “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. Secondo il recente rapporto annuale dell’associazione nazionale Accesso negato sono più di 13 milioni gli utenti italiani che nei canali Telegram condividono Pornografia Non-Consensuale.

Si tratta quindi di una pratica che può avere effetti drammatici a livello psicologico, sociale e anche materiale sulla vita delle persone che ne sono vittime.

La gravità del problema è evidente sia per la lesione della dignità, dell’onore e della reputazione delle vittime, che vedono violato il diritto fondamentale alla riservatezza, sia per la perdita di occasioni di lavoro dovuta ad una cattiva web reputation, sia per i profondi risvolti psicologici e sociali che ne derivano e che in alcuni casi hanno condotto anche al suicidio (le stime dicono che il 51% delle vittime ha pensato di suicidarsi).

Poiché si intrecciano delicati profili psicologici, culturali, sociali, ma anche giuridici e tecnologici il fenomeno deve essere affrontato da diversi punti di vista.

Per contrastare tali delitti la legge 19 luglio 2019, n. 69 (c.d. “Codice Rosso”) ha introdotto nel codice penale italiano il delitto di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, che punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000non solo chi ha realizzato o sottratto foto o video di questo tipo, ma anche chi li riceve da altri e li inoltra, a sua volta, senza il consenso delle persone rappresentate, al fine di recare loro un danno.

Le pene sono più elevate se l’autore è il coniuge, anche separato o divorziato, una persona legata da una relazione affettiva con la vittima o se si utilizzano strumenti informatici o telematici, il che nella realtà quotidiana avviene quasi sempre.

Le pene aumentano ulteriormente se la vittima è persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o una donna in stato di gravidanza.

La procedibilità a querela sembra essere un punto debole del sistema perché molto spesso la vittima si trova in condizioni psicologiche o relazionali tali da non poter assumere le necessarie decisioni entro il termine di sei mesi previsto per decidere se presentare querela oppure no.

(1.continua)

prof. Mauro ALOVISIO e avv. Salvatore MAUGERI, Centro studi di Informatica Giuridica di Ivrea Torino

 

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