Violenza sulle donne, un’app per le urgenze ma funziona davvero?

Nei giorni del dolore per la scomparsa dell’ennesima vittima di femminicidio, è rimbalzato un post sui social network professionali, il quale segnala l’app della Polizia che consente di segnalare episodi di violenza “con un click”. Una ottima iniziativa, che sulla carta si offre come soluzione a un problema reale e sentito.

Un’app che la cittadina può scaricare sul proprio cellulare, installare, attivare con la propria identità digitale. Un’app che la cittadina può imparare ad usare. Un’app che, in caso di emergenza, la cittadina deve maneggiare con estrema destrezza per effettuare una segnalazione puntuale, compilando un breve modulo. Da questo elenco, già ben distante dal singolo click, sorgono alcune riflessioni che vanno oltre la specifica app.

Per mettere l’app IO (quella che consente di accedere ai servizi di tutta la Pubblica Amministrazione italiana) nelle tasche di metà della popolazione, ci sono voluti 4 anni e ben due incentivi economici: il cashback, iniziativa che consentiva di ottenere sconti su qualsiasi acquisto effettuato con una carta registrata di pagamento dentro l’app, e la meno fortunata lotteria degli scontrini.

Chi ha pensato questa app avrà pensato alla fatica necessaria a convincere la cittadina che sia una buona idea scaricare l’app prima che ne abbia realmente bisogno?

La promessa del “punto unico di accesso telematico” – che è come la norma definisce appunto app IO – è appunto quella di condensare in un unico punto tutti i servizi utili, per praticità del cittadino.
Chi ha pensato questa app avrà pensato, e poi scartato l’idea, di farla ricadere tra i servizi dell’app IO stessa?

La possibilità di fare un servizio digitale su un sito responsive, ovvero che si adatta ai dispositivi mobili, con tecnologie odierne, è alla portata di qualunque sviluppatore di interfacce. Incapsulare un semplice modulo di segnalazione, un form, all’interno di un app mobile invece richiede almeno due gruppi di lavoro, ciascuno con i propri progettisti e sviluppatori, uno per ciascuno dei principali sistemi operativi dei nostri dispositivi, con i relativi costi di sviluppo e gestione. Con l’unico vantaggio tecnico sostanziale, per il caso specifico, che attraverso app nativa è possibile usare i sottoservizi del sistema operativo, come ad esempio usare il bluetooth o la geolocalizzazione dello smartphone.

Chi ha pensato questa app, avrà pensato allo sforzo di ciò, rispetto alla più rapida telefonata al 118, cui le forze dell’ordine sono in grado di dare riscontro generalmente in minuti, che la cittadina già conosce? O rispetto al servizio di segnalazione rischio presente nell’app di Instagram, già nelle tasche di circa 9 milioni di donne?

Una volta risposti questi interrogativi, si intravede come spesso dietro ai grandi sforzi e ottime intenzioni volti a creare le molte app pubbliche, ci sia un vuoto di progettazione. La cui causa, alla radice, sembra essere una ritrosia nell’affrontare gli aspetti squisitamente umani, prima che tecnici. Una fuga dalla comprensione del problema, atto per cui è necessario parlare a chi quel problema lo vive. Può sembrare controintuitivo, ma spesso è più facile lanciarsi sulla costruzione di una soluzione, qualcosa di visibile, magari addirittura da ostentare, anziché confrontarsi, chiedere, domandare all’utente quali siano le sue necessità e provare ad andar loro incontro. Nella costruzione di oggetti tecnologici quanto (poco) ci sporchiamo le proverbiali mani a parlare con le persone?

Se invece partissimo dall’incontro con le persone, dal capire i loro bisogni, i loro modi di ragionare (non quelli che vorremmo loro avessero…), i loro vincoli reali all’adozione di questa o quella soluzione, anziché da slanci e vincoli teorici immaginati sulla carta, tutto questo forse sarebbe incredibilmente semplificato. Se indagassimo cosa il destinatario di queste soluzioni pensa, come ragiona, cosa desidera, come sceglie?

Avremmo soluzioni a problemi reali, meno notiziabili ma più vere, e che le persone desiderano.

Annalisa NANNI

 

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