Gato, l’Ai multimodale che puo compiere 604 task

È stato da poco presentata Gato, una Intelligenza Artificiale multimodale che, secondo alcuni esperti, apre nuove possibilità verso una IA con capacità paragonabili all’intelletto umano. Il modello è stato sviluppato dall’inglese DeepMind, azienda della galassia Google, ed è una parte del progetto di studio delle IA multimodali. Capaci di compiere un numero maggiore, sebbene ancora limitato e finito, di compiti e richieste rispetto alle IA strette o deboli, specializzate in una singola funzione, le IA modali potrebbero essere un ulteriore tassello verso lo sviluppo delle IA generaliste o forti, capaci di compiere un numero indefinito di compiti.

A differenza di altre IA simili, Gato è basata su un’unica rete neurale ad architettura Transformer da 1,18 miliardi di parametri, rispetto a sistemi a più modelli specializzati che possono raggiungere i 175 miliardi di parametri, ed elabora dati in un unico formato standardizzato detto “token”, siano essi immagini, video, audio o testi. Attualmente può compiere 604 diverse task, dal controllo di bracci meccanici, al giocare con videogame Atari, al creare didascalie, senza eccellere in nessuna di queste.

Stando a DeepMind Gato ha risultati ancora scarsi in 154 di questi compiti e prestazioni che oscillano intorno ad una prestazione media nei restanti 450. Sempre l’azienda sottolinea però come l’obiettivo di Gato non sia eccellere nelle task, ma riuscire a gestirne il maggior numero possibile, sottolineando come, ad un aumento dei parametri nelle varie versioni di Gato, l’IA aumenti l’efficacia nell’esecuzione dei compiti e migliori i risultati finali. I prossimi obiettivi del progetto sono lo sviluppo dell’apprendimento in multitask, che permetterà a Gato di combinare informazioni per un’analisi più completa e un addestramento che miri ad evitare errori e bias nell’IA, che comporterebbero possibili fonti di minacce anche fisiche e discriminazioni, sempre più difficili da prevenire e da individuare in IA complesse basate su blackbox opache e di difficile accesso.

Emanuele DENTIS

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