I robot e noi, prevale l’ansia

In un momento in cui la tecnologia pervade il nostro oggi, e ancora di più il nostro domani, ho trovato veramente illuminante un lavoro di due ricercatori dell’Università di Cambridge, a me familiari, Stephen Cave e Kanta Dihal (autori del bel lavoro “The Whiteness of AI”), in collaborazione con Kate Coughlan, dal titolo Scary Robot”, che analizza l’impatto emotivo che queste nuove presenze scatenano nell’uomo. Le percezioni che si sono riscontrate maggiormente, secondo lo studio e l’indagine fatta sulla popolazione nel Regno Unito, hanno più a che vedere con un tipo di ansia significativa, che non con un entusiasmo di sorta.

Le paure hanno più a che vedere con paura di manipolazione del subconscio, con la violazione della privacy, o con la sostituzione del lavoro umano, mentre l’ottimismo è più legato ai benefici terapeutici che potrebbero apportare in ambito diagnostico, o in ambito di business fortemente verticali sulla tecnologia.

L’indagine che ha portato a questa visione, è stata condotta su 1078 intervistati, gestita dall’agenzia di ricerche di mercato GfK per conto della BBC. Di questo campione esaminato, il 78% possiede uno smartphone, il 70% possiede un laptop, il 65% un tablet e il 42% un computer desktop. L’1% non possedeva nessuno dei dispositivi elencati.

«Agli intervistati è stata posta una serie di domande a scelta multipla e a testo aperto. All’interno di ciascuna domanda a scelta multipla, la gamma di possibili risposte è stata presentata a ciascun rispondente in ordine casuale, per ridurre al minimo l’influenza che l’ordine potrebbe avere sui risultati

Se le prime domande andavano ad indagare il livello di capacità tecnologica del singolo intervistato, dalla domanda 3 in poi, ci si addentrava in campo specifico AI, chiedendo “Hai mai sentito parlare di Intelligenza Artificiale?“, e a coloro che rispondevano “no” o “non so“, non venivano poste ulteriori domande; agli altri venivano posti quesiti di valutazione su otto affermazioni sull’intelligenza artificiale.

Secondo Cave e Dihal, le narrazioni occidentali anglofone sull’intelligenza artificiale cadono in quattro dicotomie che consistono ciascuna in una speranza e in una paura parallela. Sotto la prima, si riscontrano, immortalità, facilità, gratificazione, e dominanza.

L’immortalità che è la spinta di base dell’essere umano, troverebbe pienezza nell’utilizzo dei sistemi algoritmici per migliorare l’ambiente diagnostico e terapeutico e contribuire al raggiungimento di questo traguardo; la facilità si riferisce al desiderio di essere liberi dal lavoro faticoso; la gratificazione ha a che fare con la conseguenza del precedente, cioè avere più tempo libero per gratificare se stesso; il dominio avrebbe a che fare con la proprietà dell’IA di aumentare i mezzi di difesa e sicurezza.

Ma ad ogni speranza, in parallelo, corrisponde una paura: all’immortalità corrisponde la paura di perdere se stessi e non riconoscersi più come esseri umani e diventare simili alle macchine; la facilità, per converso scatenerebbe l’obsolescenza, cioè la dignità del lavoro verrebbe messa da parte, cui seguirebbe, in parallelo con la gratificazione, una sorta di alienazione che porterebbe l’uomo a cercare sempre più interazioni con le macchine e sempre meno con altri esseri umani; ed infine al dominio, corrisponderebbe la paura della rivolta, visione distopica di un futuro lasciato in balia delle macchine!

Nelle interviste la narrazione che ha ricevuto maggiore riconoscimento è stata l’obsolescenza (55%), intesa come “… diventiamo troppo dipendenti dalle macchine e sostituiamo la necessità degli esseri umani nel lavoro, nelle relazioni e nella socializzazione”, invece quella con minor impatto è stata quella della disumanità (13%), intesa come “… potrebbe migliorare i nostri corpi così tanto da diventare più macchine che umani.”

Agli intervistati, è stato chiesto quale narrazione creasse entusiasmo e quale timore e i risultati hanno evidenziato come solo la facilità e l’immortalità suscitassero più eccitazione che preoccupazione. Inoltre, la maggior parte ha ritenuto molto probabile il verificarsi di narrazioni quali facilità e dominio, legate alla speranza, e obsolescenza e rivolta, legate alla paura!

Davvero interessante, infine, la domanda relativa ad una potenziale influenza che ogni intervistato riteneva di poter apportare al fenomeno, da cui è emerso che quasi tutti si sono ritenuti incapaci di interferire con lo sviluppo dell’IA o perché in età avanzata, o perché non considerati, o perché il corso della tecnologia avviene al di fuori del sentiment della gente comune!

Raffaella AGHEMO, avvocato

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