Dipendenza dai social: Usa fa causa a Meta

Ormai è risaputo: i social network creano dipendenza soprattutto tra i giovani; e in alcuni casi anche forme di depressione più o meno acuta.

Così oltre quaranta (40) Stati negli USA hanno fatto causa  a Meta (proprietaria, tra le altre, di Instagram e Facebook). Per quanto ci è dato sapere, l’azione legale sarebbe stata avviata dalla California e dal Colorado dopo varie indagini dell’ultimo biennio. In poche parole, una sorta di maxi-class action tutta intenta a contestare le strategie con cui Meta attira gli utenti, in particolare i più giovani, altamente dipendenti. La dipendenza crea assuefazione che genera malessere e azzera quasi l’autostima.

Da qui, l’accusa feroce. D’altronde, la sensibilità pubblica sui rischi da eccessivo utilizzo di piattaforme social è visibilmente cresciuta negli ultimi anni specie nel dopo Covid e a fronte dei suoi ripetuti periodi di “tutti a casa” in cui l’unico modo di uscire era quello di evadere sui social.

Per contro, il noto colosso del tech si difende sostenendo di aver potenziato la “sicurezza online” in specie degli adolescenti. Ma con quali riscontri oggettivi?

Alcuni dati: nel 2020, secondo il documentario “The Social Dilemma” — che divulga da tempo riflessioni sulle conseguenze politiche e sociali delle piattaforme digitali—, sono emerse testimonianze di ex dipendenti, i quali avrebbero dichiarato e denunciato vere e proprie “dinamiche di assuefazione”.

Nel 2021, poi, un ex dipendente avrebbe reso pubblico e noto come Instagram contribuisca ad aumentare “…l’insoddisfazione per l’immagine del proprio corpo nelle giovani donne a causa della continua esposizione e competizione con altri profili”.

Certo, se oggi il canone dell’apparenza fosse sostituito da quello della sostanza, non ci sarebbero situazioni come queste, con la conseguenza che le piattaforme portano ansia, depressione e in casi estremi finanche (l’istigazione) al suicidio. Purtroppo, non è la prima causa e non sarà nemmeno l’ultima a dimostrazione di un fenomeno tanto preoccupante quanto dilagante nell’odierna società.

Chiara Ponti

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